VINITALY IN A DAY

Che cosa sarebbe il Vinitaly senza le due settimane successive, in cui chiunque dice la sua sulla Fiera? Messi da parte i pop corn che ho tenuto in mano mentre scorrevo i vari commenti, riprendo i miei appunti di degustazione e arrivo sulla coda lunga del post Vinitaly, quando i bilanci di questa 56esima edizione da record sono già stati fatti - 97mila presenze tra il pubblico, 4mila cantine espositrici, 65 i Paesi partecipanti e più di 50mila degustazioni al Vinitaly and the City, l'evento OFF dedicato agli appassionati del vino - e appena prima che l’inizio della stagione estiva ci distragga proponendoci una, cento, mille versioni di bolle. Dato che arrivo in coda, posso permettermi anche di saltare la fase del giudizio e di concentrarmi invece su quello che ho più apprezzato della mia visita alla Fiera: una giornata a degustare vini italiani, fermandomi a chiacchierare con produttori e produttrici di regioni diverse, seguendo un percorso che, in un omaggio incrociato tra vino e cinema, mi piace chiamare VinItaly in a Day.

Dal Trentino alla Sicilia: i vini che ho degustato al Vinitaly 2024 (e perché vale la pena ricordarli)

Il mio VinItaly in a Day ha inizio in Trentino e si conclude in Sicilia. Prima di iniziare a raccontarvi quali sono i vini che ho degustato e perché vale la pena segnarseli, espliciterò anche il fatto che il mio viaggio non è stato solo geografico, ma ho seguito anche le regole base di una buona degustazione, partendo cioè dagli spumanti secchi, per poi passare ai vini bianchi fermi, vini rossi di media e di grande struttura per arrivare a un vino liquoroso come il Marsala. Se aveste avuto soltanto otto ore per visitare Vinitaly - e non vi piace sputare il vino - l’avreste fatto anche voi. Rewind all’inizio, allora, allo stand del Trentodoc, per il primo assaggio.

Trentodoc oggi riunisce sessantasette case spumantistiche, ognuna delle quali persegue la propria personale filosofia, conferendo a questo metodo classico sfumature diverse, adatte a ogni gusto, occasione e abbinamento. Le viti di Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e Pinot Meunier sono coltivate dalle Dolomiti al Lago di Garda ad altitudini comprese tra i 200 e gli 800 metri, su terreni differenti: e la differenza in termini di eleganza, freschezza e persistenza si sente. Il bicchiere più interessante, tra quelli che ho potuto degustare, è stato il Rhodium Riserva 2017 della Cantina Salizzoni: 80% Chardonnay e 20% Pinot nero, coltivate nell’Alta Vallagarina, per un vino che ha riposato sui lieviti più di sessanta mesi e oggi presenta un colore giallo dorato brillante, note di piccola pasticceria, mandorla e spezie. Notevole, e più vicino a quello che ci si potrebbe aspettare da un Trentodoc - tanto fiore, frutto delicato e una freschezza croccante - è il Pas Dose Chardonnay della Cantina Man, eccellenza della Val di Cembra, zona che si caratterizza per i suoi terreni ricchi di porfido rosso: Chardonnay in purezza e quarantadue mesi sui lieviti, con un passaggio del vino base in botte grande, per un vino perfetto per accompagnare tutto il pasto.

Appoggio il calice e mi sposto verso est, verso i vini bianchi e fermi di Graziano Prà, dalla zona del Soave. Qui vengo coinvolta in un gioco di assaggi di annate diverse e mi diverto a trovare le differenze tra le bottiglie tappate con il tradizionale tappo in sughero e quelle che invece hanno il tappo a vite. Una scelta che la cantina ha fatto ormai da qualche anno motivata dai vantaggi principalmente in termini di conservazione e di trasporto. Io ho assaggiato la stessa annata di Otto, il Soave Classico DOC di Graziano Prà, fresco e di pronta beva, con tappo di sughero e tappo a vite, anche se la differenza principale l’ho avvertita nel Monte Grande, Soave Classico DOC, cru da uve Garganega e Trebbiano di Soave, annata 2017: il frutto predominante nella bottiglia con il tappo a vite, i sentori speziati e minerali in quello con il tappo in sughero.

Mi basta sedermi al tavolo con lei per capire che anche ad Annalisa Zorzettig piace andare controcorrente. E non solo perché il suo è l’unico stand che visito che offre ai suoi avventori un tagliere di prodotti friulani freschi e tagliati al coltello. In degustazione propone uno Schioppettino annata 1981, quando ancora la vinificazione prevedeva il parziale appassimento delle uve, in controtendenza a chi, invece, al Vinitaly porta solo le novità e le annate appena uscite. Da segnare è decisamente anche l’annata 2011 dello Schioppettino di Zorzettig, un vino dal colore rubino profondo, con leggeri riflessi granati - perché “Il vino è natura e quando invecchia, invecchia e si vede” mi dice Zorzettig - e una nota balsamica e speziata che lo rende perfetto per accompagnare tutto il pasto, anche di pesce. Un’altra donna che ho il piacere di ritrovare è Francesca Seralvo, neoeletta Presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, che al Vinitaly presenta l’annata 2022 del suo Terrazze Alte: un vino di colore rubino delicato, ma brillante con leggeri riflessi rosso mattone, intenso al naso e con il bouquet di aromi tipico del pinot nero vinificato in rosso.

Giunta ai vini rossi, non posso che scendere verso la Toscana. Mi fermo prima da Dievole, che dalla sua Tenuta Meraviglia a Bolgheri presenta l’annata 2020 del suo Bolgheri Rosso: un cabernet franc in purezza, coltivato su un terreno vulcanico, affinato in cemento e poi in botte grande per dodici mesi, un vino di pronta beva che ha però anche una potenzialità nell’evoluzione. Proseguo poi il mio viaggio attraverso l’Italia del vino facendo tappa da Fèlsina, nel Chianti Classico, assaggiando il Gran selezione Colonia 2019, un sangiovese purezza coltivato sulla testa di una collina piena di sole: è un vino che si beve anche da solo, da ricordare per le note balsamiche, di ginepro e arancia sanguinella, indice che forse è ancora un po’ troppo pronto e potrebbe restare ancora in bottiglia qualche anno prima di stapparlo in un pranzo tra amici. Ed è la sensazione, quella di una tavolata piena di affetti, a cui Lungarotti dedica i sessant’anni del suo Rubesco, uno dei vini di punta della cantina umbra guidata da Chiara Lungarotti - il cui nome viene dal latino rubescere, cioè arrossire di gioia - e che io ritrovo con piacere, presentano in annate diverse, a dimostrazione che si tratta di un vino a cui diverte invecchiare.

Il mio VinItaly in a Day si conclude - dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo - con un vino che fa dell’invecchiamento il suo vanto e il suo valore più grande. Nell’ampio e colorato stand di Cantine Pellegrino ho l’occasione di degustare le annate storiche dei loro Marsala, rosso, vergine e riserva. Provenienti dalla magnifica cantina sul lungomare dove riposano nel più assoluto silenzio, in centinaia di botti di rovere francese, di ogni forma e dimensione.

Cosa resta sul fondo: i buoni propositi per Vinitaly 2025 e i dubbi sul futuro del settore

Alla fine, ma solo alla fine, un piccolo bilancio lo sto per fare anche io. E arriva sotto forma di una domanda per il futuro di una fiera che vuole essere sempre più business oriented, ma che forse rischia di dimenticarsi del cuore pulsante del suo settore. Camminando tra i padiglioni ho notato un pubblico più distribuito tra tutti gli stand, e non solo a quelli più conosciuti e tradizionalmente presi d’assalto, e in generale meno affollamento. Il che, da un lato, mi ha dato la possibilità di fermarmi a chiacchierare con produttori e produttrici, assaggiare qualche annata speciale - una scelta che va controcorrente a quella tendenza di imbottigliare in fretta e furia apposta per il Vinitaly, al posto di bottiglie più mature che potrebbero invece far capire molto di più della filosofia produttiva di chi le propone - dall’altro ha reso evidente come la scelta dell’organizzazione di dare accesso solo ad addetti del settore e in giornate ben precise a seconda della professione ha aiutato a rendere quello di Vinitaly un pubblico sempre più formato e informato che non segue le mode e le etichette, ma si approccia alla fiera con la curiosità critica che proviene solo da esperienza e competenza.

L’amministratore delegato di Veronafiere Maurizio Danese in una delle interviste rilasciate nel post Vinitaly si è detto molto soddisfatto della risposta positiva delle cantine alla direzione sempre b2b della Fiera, aggiungendo anche la volontà per il futuro è quella di spostare sempre di più l’attenzione dei wine lover sulla città di Verona con Vinitaly and the City. Ma bisogna anche ammettere che oggi gli appassionati di vino sono quegli stessi Millennials e GenZ che il mercato fa sempre più fatica a trattenere: come ha scritto Tim Atkin su Harpers a inizio aprile, il cambiamento generazionale in atto nei confronti del consumo di alcol - long story short: sembrerebbe che in futuro berremo sempre meno vino per come lo conosciamo, a favore di bevande dealcolate in nome della salute e della sostenibilità - è una delle sfide, insieme alla crisi climatica e alla salute, che il mondo del vino dovrà affrontare nel futuro a breve termine. Viene da chiedersi, dunque, se chiudere le porte del Vinitaly ai consumatori e alle consumatrici - non dimentichiamoci che già da qualche anno sono le donne a trainare le scelte di consumo in questo settore - seguendo un caso di successo come quello milanese di Salone e Fuorisalone, sia la risposta migliore per le imprese del vino. Lo sapremo solo vivendo (e bevendo): l’appuntamento per il prossimo Vinitaly è già in calendario, Verona, 5-9 aprile 2025.

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